Caro nonno,
questa foto la dedico a te. La riconosci vero? È la tua macchina fotografica, quella con cui hai scattato tante foto a mio papà, e a me. Quest’anno sono dieci anni che non ci sei più. Te ne sei andato che io avevo solo nove anni: i miei ricordi di te purtroppo sono pochi e confusi. A volte mi rendo conto che ricordo a malapena la tua voce, come se nella mia mente ci fosse solo una sagoma muta. Ricordo solo che era calda e confortevole, che trasmetteva forza e sicurezza, ma nient’altro. Poi guardo questa macchina fotografica, e mi rendo conto che siamo più vicini di quanto appaia dall’esterno. Ricordo bene quando l’ho portata alla prima lezione del corso di fotografia: un po’ mi vergognavo, perchè i miei compagni avevano tutti delle macchine fotografiche di ultima generazione, mentre io avevo solo quel “ferro vecchio”. Poi il mio professore (che, guarda un po’, si chiama Giorgio come te) ha visto la macchina fotografica, e ha esclamato: “Ma questa non è una macchina… Questa è una SIGNORA macchina”. Da lì ho cominciato a pensare che forse avevo giudicato male quell’oggetto per me misterioso, e che avrei dovuto darle una possibilità. Così passano i mesi e, con la guida instancabile del mio professore, a poco a poco imparo a conoscere la mia nuova compagna: man mano che passava il tempo, io mi innamoravo sempre di più di lei, e delle avventure che insieme vivevamo ogni lunedì, durante il corso di fotografia. L’ho amata anche quando l’ho portata con me a Madrid, e in una settimana di vacanza ho tirato fuori solo tre foto decenti dal rullino, mentre tutte le altre erano completamente inutilizzabili. Sì, l’ho amata anche in quel momento, perchè la colpa non era sua, ma mia: avevo avuto troppa fretta, non l’avevo ancora conosciuta a pieno. Avrei tanto voluto che fossi tu il mio maestro: pensa quanto sarebbe stato bello uscire la domenica, io e te, in giro a fotografare. Io l’allieva, tu il maestro.
Quando un giorno, dopo decenni di onorato servizio, ho visto che la tua macchina funzionava più, qualcosa dentro di me è cambiato: è come se tu ti fossi allontanato di nuovo da me, come se quel legame che ci teneva uniti si fosse irreparabilmente rotto. Era come se fossi morto un’altra volta.
Per fortuna, negli anni ho capito che non è così: l’eredità più grande che mi hai lasciato non era solo una macchina fotografica, ma la gioia della fotografia. Quella stessa gioia che provo ogni volta che scatto una foto, la stampo, e mi rendo conto che non è male.
Mi sarebbe piaciuto tanto mostrarti qualche mia foto, sapere che ne pensi, sentirsi dire “che bella questa foto!”, o anche “accidenti che schifezza”.
Oggi ho tirato fuori la tua reflex, ho chiuso gli occhi, e ho cominciato a muovere la rotella del diaframma, a premere pulsanti a vuoto: nella mia mente è apparso il tuo volto, e nel mio cuore ho sentito di nuovo quella magia.
Purtroppo la vita ti ha strappato via da questo mondo troppo presto.
Quel vuoto io ce l’ho ancora, ma lo riempio ogni giorno con le mie foto, ognuna dedicata a te. La fotografia ce l’avevi nel DNA, come me. E questo legame genetico nessuno potrà mai strapparcelo via: rimarrà immutato, per sempre.
Il giorno che smetterò di fotografare, sarà il giorno in cui ti avrò dimenticato. Ma non ti preoccupare, non accadrà mai.
Ti voglio bene nonno.
Tua Marianna.